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Aspetti medico legali attuali

 

M. Gennari, C. Botta, B. Zanotti

 

 

INTRODUZIONE

La cranioplastica, quale intervento chirurgico diretto a colmare una breccia ossea del cranio, si riconduce a cause diverse: traumi cranici con fratture infossate, comminute ed esposte della teca, eventualmente accompagnate da perdita di sostanza; craniotomie decompressive (per edema, neoplasie, infezioni, lesioni vascolari); infezioni ed osteomieliti di opercolo osseo; fenomeni di osteolisi neoplastica e di osteonecrosi conseguente a terapia radiante; dismorfismi cranio-facciali.
La menomazione rappresentata dalla breccia cranica ossea è prevalentemente espressa dal difetto di protezione meccanica del cervello verso eventuali, seppur rari, traumi e dal nocumento estetico dipendente, in particolare, dalle dimensioni e dalla sede della breccia; è, infatti, maggiormente evidente quando è interessato l’osso frontale con il bordo orbitario, rispetto a quello temporale, parietale od occipitale, ove, almeno in parte, è mascherato dal capillizio. Né si devono trascurare le conseguenze psichiche reattive e la possibilità di una somatizzazione dei disturbi, praticamente sovrapponibili alla sindrome soggettiva del cranioleso(7). Studi recenti dimostrerebbero, in realtà, che un’efficiente cranioplastica, favorendo la circolazione ed il trofismo nel territorio cerebrale corrispondente al difetto protettivo, può anche migliorare gli stessi disturbi neurologici(2,23).
I materiali impiegati nella riparazione protesica delle brecce craniche non hanno, in passato, dimostrato i requisiti ideali(1): della perfetta istocompatibilità della sostanza, della malleabilità, della scarsa conducibilità termica, della trasparenza ai raggi X, della mancanza d’interferenza nell’esecuzione di TC, RM e SPECT(18). Molti Autori, però, si sono pronunciati a favore dell’utilizzazione dell’osso originale o autologo, ma anche, in subordine, di quello omologo prelevato da cadavere(6,10,30).
La riposizione del lembo osseo originale è considerata scelta elettiva se viene immediatamente praticata; diversamente, si pone il problema della sua conservazione, dei rischi di riassorbimento e d’infezione(17,29), particolarmente rilevanti nell’omotrapianto. Giocano nettamente a sfavore la notoria insufficienza di strutture organizzate, come le “banche dell’osso”, ed i costi del procedimento fisico-chimico di sterilizzazione e di conservazione. Per l’osso omoplastico si pone anche il problema del rigetto, mentre l’autotrapianto mediante prelievo di altre parti scheletriche pone lo svantaggio del duplice intervento e dell’imperfetta congruenza.
La moderna ricerca si è così orientata verso la sintesi e la sperimentazione di sostituti dell’osso come i materiali metallici, polimerici e ceramici. Per le protesi metalliche sono stati impiegati l’acciaio inossidabile, il tantalio, l’alluminio(18) ed il titanio; quest’ultimo, ritenuto maggiormente biocompatibile, non crea artefatti significativi alla TC ed alla RM, non è tossico, non va incontro ad erosioni nel tempo e non impedisce la crescita di nuovo osso attraverso gli spazi liberi, ma fornisce un risultato estetico mediocre(28). I materiali plastici o polimerici, come i polimetacrilati ed i siliconi, possono assolvere adeguatamente alla funzione di protezione ed anche estetica, ma non stimolano affatto la crescita e la riparazione ossea(9,21).
Il materiale che negli ultimi anni si sta affermando quale sostituto dell’osso originale è quello ceramico, di idrossiapatite porosa(5,11,13,14), composto da calcio e fosforo, come la componente minerale naturale dell’osso. È un prodotto di sintesi biocompatibile, che non produce effetti dannosi sui tessuti adiacenti, non dà reazioni di rigetto; è preventivamente modellabile su misura, secondo la perfetta forma del lembo osseo originale, realizzata mediante procedura computerizzata di calco tridimensionale, basato sulle informazioni TC (dispositivo “custom made”); è inoltre osteoconduttivo(26) perché, attraverso la sua porosità, guida la rigenerazione ossea sino a trasformarsi progressivamente nel tempo in osso (processo evidente dopo 6-12 mesi) e a saldarsi perfettamente al tessuto circostante. Le protesi “su misura” vengono realizzate ad hoc in laboratorio per ciascun paziente, a fronte della prescrizione dello specialista, e possono essere adattate durante l’intervento chirurgico mediante semplice fresatura.
Questo più moderno modello di protesi assicura un ottimo risultato estetico, mentre l’iniziale limite della sua fragilità è destinato progressivamente ad annullarsi, per la trasformazione in scheletro neoformato con resistenza meccanica e persino capacità autoriparativa, prossima all’osso normale. Unico apparente limite rimane il costo tutt’ora elevato.


PROSPETTIVE MEDICO-LEGALI

Nella cranioplastica sono prospettabili riflessi medico-legali relativamente alla sussistenza di un diritto alla protesi più idonea, al consenso informato all’intervento, alla valutazione del danno in ambito civilistico e infortunistico, ma anche in riferimento ai possibili risvolti penalistici o di responsabilità professionale.
Anzitutto, se esiste oggi una cranioplastica migliore delle altre per efficienza e riduzione del rischio, essa deve rientrare nella disponibilità di cura per il paziente, a garanzia di quel diritto alla tutela della salute, che, nella più ampia accezione del termine, è sancito dalla Carta Costituzionale (art. 32).
Questo diritto si riconosce, anzitutto, nel rispetto dell’integrità psicofisica della persona, valido erga omnes, che richiede la “riparazione” risarcitoria, se viene violato. Dal momento che il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’evento lesivo (Cass. Civ. S.U., 22 luglio 1999, n. 500 e n. 501, in Danno e Resp., 1999, 965), una breccia cranica provocata da un trauma o, comunque, dal fatto illecito di terzi, deve essere “reintegrata in forma specifica” (art. 2058 C.C.), per quanto possibile, in quanto materialmente riparata con i mezzi e gli interventi più idonei a ricondurre il “bene” allo stato primitivo, a spese del responsabile. Solo per la componente differenziale, rispetto alla completa restitutio ad integrum, può farsi ricorso ad un risarcimento “per equivalente”, in somma in denaro, che, riguardo alla salute, può solo convenzionalmente (secondo i consueti parametri del danno biologico o della incapacità a produrre reddito) corrispondere all’effettivo valore dei danni causati(15). Dottrina medico-legale(4) e giuridica(16,27) sono concordi nell’affermare il diritto alla risarcibilità delle cure, non solo “necessarie”, in quanto indispensabili ed insostituibili, ma anche di quelle “utili”, in quanto efficaci nel favorire la guarigione (a queste possiamo ragionevolmente ascrivere la cranioplastica, specie se “custom made”). In altre parole, è scontato il diritto al risarcimento di tutte quelle cure idonee ed efficienti a modificare nel senso più favorevole lo stato di salute o l’invalidità del soggetto. Il costo attualmente più elevato delle protesi ceramiche, allestite con procedura computerizzata, non può dunque costituire un limite ostacolante il giusto risarcimento del danneggiato. D’altra parte, il maggior costo che verrebbe posto a carico del responsabile civile, come “danno emergente” o reintegrazione in forma specifica (art. 2058 C.C.), risulterebbe poi di fatto compensato, se non ipoteticamente anche superato a suo vantaggio, da un minor valore del risarcimento per equivalente stabilito dalla riduzione proporzionale del quantum di danno biologico permanente.
Infatti, la valutazione civilistica del danno causato dalle brecce craniche, inizialmente basata su criteri anatomici e morfostrutturali, con particolare riguardo alle loro dimensioni, si è andata poi modellando nel tempo sui criteri di tipo prevalentemente funzionale (22,8,12). Ricorrendo alle “Guide” nazionali di valutazione medico-legale del danno biologico permanente maggiormente in uso, Luvoni, Bernardi e Mangili(20) indicano, per una “breccia cranica di circa 10 cm2”, il valore 10% di danno biologico, con l’avvertenza che la ricostruzione protesica elimina o riduce il difetto di protezione e di vulnerabilità; ma “persistendo una situazione anormale, anche per gli eventuali riflessi di ordine psichico sul soggetto menomato” e considerando “l’inevitabile persistere di modeste perdite di sostanza ossea”, tale percentuale “deve essere ridotta per non giungere ad assurdi valutativi”. Anche la “Guida” di Bargagna et Al.(7) riserva “alle brecce craniche, a seconda dell’estensione” un valore di danno biologico permanente sino al 15%, precisando che “il valore percentuale non deve adattarsi matematicamente al variare delle dimensioni della breccia (o delle brecce), ma si dovranno ponderare, caso per caso, le condizioni di effettiva menomazione”. Si riconosce, però, che “gli interventi di cranioplastica possono oggi rimediare ai difetti di protezione del contenuto cranico, sino a dimezzare il tasso invalidante” indicato.
È nostra opinione che un’efficiente cranioplastica con protesi cranica perfezionata ad personam, eliminando completamente il danno estetico del dismorfismo osseo e consentendo, attraverso la progressiva rigenerazione ossea guidata, un graduale ed effettivo recupero della funzione protettiva dell’osso naturale, possa ridurre l’attribuzione del quantum di danno biologico permanente sino ad un tasso che oggi può andare ben sotto il dimezzamento dei valori indicativamente tabellati (secondo Bargagna et Al.(7)), potendo praticamente avvicinarsi o idealmente coincidere con il danno biologico direttamente correlato agli esiti traumatici e chirurgici extracranici (meningo-encefalici, del cuoio capelluto e dei piani muscolari).
Le medesime osservazioni e considerazioni possono essere integralmente trasferite alla valutazione del danno in ambito infortunistico.
Nell’assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sono poste a carico dell’Istituto assicuratore (INAIL) anche le cure mediche e l’assistenza protesica (D.P.R. n. 1124/1965, artt. 66, 86 e 90) che “si prefigge il massimo recupero della capacità lavorativa e dello stato di salute psico-fisica dell’assicurato ai fini del suo recupero professionale e sociale e, quindi, del suo reinserimento nella vita di relazione”(3). Per l’Istituto assicuratore si prospetta la naturale contropartita di una riduzione del danno biologico, significativamente reintegrato dalla protesi cranica più efficiente.
Anche nell’infortunistica privata può essere previsto in polizza il rimborso delle spese di cura e protesiche determinate, in via diretta ed esclusiva, dall’infortunio, con la contropartita, per l’impresa assicuratrice, di un proporzionale abbattimento del tasso di invalidità permanente indennizzabile.
Trattandosi di un diritto pubblico soggettivo, quello all’integrità fisica o alla salute, la violazione da parte di terzi, che abbia causato una perdita di osso cranico e determinato, conseguentemente, l’intervento chirurgico di cranioplastica, è perseguita anche penalmente con configurazione dei delitti di “lesione personale” (artt. 582, 583, 590 C.P.). Tuttavia, mentre la breccia ossea in sé, ma anche la riparazione protesica non integrale, configurano necessariamente specifica “aggravante” prevista dall’art. 583 C.P., che può rendere la lesione personale “grave”, per “indebolimento permanente di un organo” (quello cranico, organo “giuridico” di protezione del sistema nervoso centrale), o addirittura “gravissima”, per “sfregio o deformazione permanente del viso”, vi è motivo di ritenere che una perfetta riparazione e integrazione ossea con protesi su misura in ceramica, escludendo in ogni caso lo “sfregio”, possa consentire di motivare anche l’assenza dell’aggravante di “indebolimento” dell’organo cranico.
Al di fuori dell’ipotesi risarcitoria, il diritto alla tutela della salute, inteso nella concezione solidaristica di diritto all’assistenza sanitaria, erogabile dal servizio sanitario nazionale, incontra i limiti rappresentati dalla disponibilità delle risorse predefinite per il settore sanitario (Corte Cost., sentenza n. 416/1995), cosicché non può essere visto come diritto assoluto l’accesso a prestazioni non “necessarie” ed esuberanti i “livelli essenziali di assistenza”, compreso quello ad un cranioplastica su misura, secondo la tecnologia più avanzata.
Ma, se anche parliamo di un diritto “relativo”, per i limiti imposti dalle esigenze della più equa distribuzione delle risorse, non possiamo sottrarre alla persona il diritto di provvedere autonomamente, con i propri mezzi, al perseguimento del migliore livello di ripristino della sua integrità fisica o salute. Per questi motivi, quando non sia possibile effettuare nello stesso intervento la riposizione di un lembo osseo autologo e sia comunque differita nel tempo l’operazione di cranioplastica, il paziente deve essere messo nelle condizioni di poter manifestare la propria volontà anche nella scelta protesica. Deve allora essere necessariamente prevista, nell’informazione data dal neurochirurgo, preliminare al consenso all’intervento, la comunicazione della tecnica o delle tecniche di cranioplastica fruibili in quella struttura, con i relativi benefici, svantaggi e rischi (infezioni, riassorbimenti, decubiti, rigetto, inestetismi, ecc.), delle possibili alternative, specificando i relativi costi e vantaggi o indicando i centri specialistici di riferimento, qualora essa non potesse essere praticata in quella sede.
Se il paziente non è stato completamente libero di scegliere, perché non adeguatamente informato, così da dover passivamente accettare una prestazione tecnica qualitativamente inferiore alle sue attese e possibilità economiche, secondo un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza civilistica, potrà contestare al medico e all’istituzione sanitaria il diritto al risarcimento di quella parte di danno da lui non preventivato (per difetto, appunto, di informazione), che sarebbe stato evitabile o contenibile con una migliore, seppur onerosa, scelta di riparazione protesica (Cass. Civ., sez III, n. 6464/1994 e n. 364/1997).
Se oggi una responsabilità del neurochirurgo, per la sua scelta tecnica nell’intervento di cranioplastica, potrebbe effettivamente porsi in questi termini di difetto nel “consenso informato”, è prevedibile che, con la diffusione e la probabile riduzione dei costi delle protesi craniche singolarmente programmate, l’adozione di una più rischiosa e meno vantaggiosa, nonché desueta, tecnica riparativa delle brecce craniche, possa concretizzare anche una responsabilità per colpa; tale condotta potrebbe, infatti, circostanziare un’imperizia, per mancato aggiornamento o una negligenza e/o imprudenza, per una scelta non del tutto attenta ai veri interessi del paziente.
Il ruolo della professionalità medico-legale nel campo della responsabilità medica ci induce anche a riferire l’esperienza peritale di uno di noi sulle possibili conseguenze anche penali di eventi, scelte o tecniche operative nella specifica materia delle cranioplastiche. Nel 2003, un neurochirurgo ospedaliero fu “indagato” dall’Autorità giudiziaria per il delitto di “lesioni personali colpose” (art. 590 C.P.), non avendo egli conservato (o avendo forse smarrito) l’opercolo cranico prelevato ad un giovane traumatizzato, sottoposto a craniotomia decompressiva. Dopo alcuni mesi, una volta programmato il reintervento di cranioplastica, non essendosi potuto recuperare l’osso autologo, fu praticata la riparazione della breccia cranica con protesi in titanio. Il Giudice per le indagini preliminari, però, concluse con sentenza di non luogo procedere per il medico, accogliendo le motivazioni della perizia, sintetizzabili nella mancanza del presupposto penalistico della “malattia”, al fine di potersi configurare una “lesione personale” (si era trattato, infatti, del materiale utilizzo di una protesi metallica invece di quella naturale, comunque non vitale, che non aveva comportato differenze di invasività e di tempi chirurgici) e nella mancanza di una effettiva, apprezzabile e provata diversità nella qualità del risultato. L’utilizzo di una protesi personalizzata “custom made”, anche più efficiente dell’osso autologo, la cui conservazione incontra comunque rilevanti difficoltà, legate alla carenza di “banche dell’osso”, garantirebbe anche da questo eventuale rischio giudiziario.


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